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È facile dire Superlega. Cinque motivi (più uno) che soffocano facili entusiasmi.

*Articolo scritto da Pietro Ilardi e Carlo Rombolà, apparso sull’edizione cartacea di ItaliaOggi del 27 gennaio 2024

Se normalmente ad accendere i tifosi è il calcio giocato, incluse le sempre più “emozionanti” incursioni del VAR, per qualche giorno il mondo degli appassionati si è diviso nel commento alla sentenza della Corte Europea, che il 21 dicembre scorso ha teoricamente offerto ai fautori della Superlega un assist foriero, in potenza, di novità dirompenti.

Secondo l’interpretazione dei giudici di Lussemburgo aditi dal Tribunale di Madrid originariamente investito della questione, le norme FIFA e UEFA sull’approvazione preventiva delle competizioni di calcio per club potrebbero essere, effettivamente, contrarie al diritto comunitario, rappresentando un abuso di posizione dominante soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento commerciale delle manifestazioni.

Su un dato ci sentiamo di prendere una posizione netta: la Superlega è un progetto importante e ambizioso ma, andando a spegnere i facili entusiasmi della prima ora, irrealizzabile nel breve e probabilmente anche medio termine. I motivi sono molteplici.

In primo luogo, la palla tornerà alla Corte di Madrid che dovrà adattare al caso di specie le determinazioni della Corte di Giustizia UE. Bisognerà quindi attendere che la sentenza di Madrid diventi a tutti gli effetti res iudicata, e quindi che vengano esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti dalla legge (spagnola, in questo caso), o quando gli stessi non siano più proponibili per decorso dei termini. Solo all’esito della sentenza si potrà effettivamente comprendere se il progetto Superlega potrà prendere il via.

In secondo luogo, non va dimenticato che l’organizzazione dei tornei continentali per il prossimo triennio è stata già perfezionata, con tanto di accordi contrattuali con televisioni e club, compresi i cosiddetti dissidenti. Considerando il valore economico di tali accordi, reputiamo possa essere proibitivo per molte società che vedono in tali introiti la primaria fonte di guadagno, andare a sostenere il costo di penali dovute alla recessione da tali contratti.

In terzo luogo, è il caso di ricordare che per costruire, gestire e far funzionare una competizione continentale sullo stile di quelle organizzate dalla UEFA serve una struttura… come quella della UEFA!

È impensabile che la neonata A22 possa offrire un torneo in stile Champions League senza disporre di un’organizzazione pari se non superiore a quella dell’attualmente unica confederazione calcistica internazionale d’Europa: servirà una compagine governativa credibile. La UEFA è pur sempre un’unione di federazioni nazionali, mentre la A22 è una società privata, i cui principali dirigenti sono riconducibili a Real Madrid e Barcellona.

Dal punto di vista pratico, al pari dei calciatori un elemento è poi imprescindibile per giocare: gli arbitri. Ne serviranno di competenti e formati e ad oggi questi sono tesserati soltanto con la UEFA. Serviranno poi legali per amministrare il complesso sistema della giustizia sportiva endofederale, tecnici, consulenti, manager, e così via.

Infine, anche dal punto di vista dei partecipanti la questione è tutt’altro che risolta: se la Superlega partisse domani, il torneo consisterebbe in un infinito scontrarsi tra Real Madrid e Barcellona, gli unici due club ufficialmente all’interno del progetto. Tante leghe nazionali vogliono porre il veto sulla partecipazione dei club alla Superlega, pena: l’esclusione dai campionati.

La vera sfida, pertanto, sarà quella di “convincere” le società di calcio di tutta Europa (e, forse, di tutto il mondo) della convenienza del nuovo format: solo allora, a nostro giudizio, l’idea di un torneo parallelo e ulteriore alle competizioni targate Nyon potrebbe diventare un’alternativa concreta e credibile alle competizioni internazionali così come le conosciamo oggi. Resta poi l’ultima variabile, forse imprescindibile: l’appoggio dei tifosi.

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Carlo Rombolà

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